Contributo alla construzioen di linee guida dal basso per piscologi e psicoterapeuti che lavorano con persone trans*

Il 21 febbraio 2015 l’Osservatorio sulla salute trans ha invitato numerose associazioni, gruppi attivist* trans*, ricercatori/-trici e professionist* della salute, fra cui la Consultoria Queer di Bologna, a un incontro presso la sede del Mit in cui avviare un processo collettivo per la stesura di linee guida per piscologi e psicoterapeuti che lavorano con persone trans*. L’ambizioso progetto punta in seguito produrre delle linee guida per i medici di base e una guida per le persone trans stesse in quanto utenti del sistema sanitario. A* partecipanti è stato proposta come lettura preliminare una traduzione di linee guida analoghe prodotte in Canada.

Pubblichiamo di seguito il contributo della Consultoria queer di Bologna: si tratta ovviamente solo dei primi punti che la Consultoria riterrebbe importante inserire e su cui ha avuto finora il tempo di ragionare, non di una proposta integrale ed esaustiva per le linee guida.

Ci è sembrato utile e strategico fare riferimento al Codice deontologico degli psicologi italiani, e adottare un linguaggio che fosse comprensibile e ricevibile da parte di psicolog* e psicoterapeut* anche se non rispecchia completamente il modo di vedere certe questioni da parte della Consultoria queer.

 

21/2/2015 – Contributo della Consultoria Queer di Bologna per la costruzione di linee guida per psicolog* e psicoterapeut* che lavorano con pazienti/clienti/utenti trans

1) Varietà delle espressioni di genere / orientamento sessuale vs. identità di genere

In coerenza con il principio del rispetto dell’autodeterminazione dell’utente sancito dall’art. 4 del Codice deontologico dell’Ordine Nazionale degli Psicologi, l* psicolog* riconosce e rispetta la possibilità di un’ampia varietà di espressioni di genere. Nell’ambito degli interventi previsti dai Programmi di adeguamento nel disturbo dell’identità di genere, l* psicolog* non assume aspettative binarie (o maschio o femmina) e stereotipate rispetto al tipo di presentazione di genere che l’utente potrà decidere di assumere durante il percorso e alla fine dello stesso, sia in relazione alle modificazioni corporee da effettuare sia rispetto al comportamento.

In particolare, l* psicolog* non assume aspettative rispetto all’orientamento eterosessuale dei suoi pazienti, né in rapporto al genere assegnato alla nascita né in rapporto al genere prescelto, ed è consapevole che l’orientamento sessuale può variare nel corso della vita di una persona anche indipendentemente da eventuali percorsi di adeguamento dell’identità di genere.

2) Storicità delle definizioni diagnostiche e eterosessismo

L* psicolog* riconosce il portato storico eterosessista del manuale diagnostico e statistico (DSM), che ad esempio in un recente passato categorizzava l’omosessualità come disordine mentale. Anche in ottemperanza al dovere deontologico dell’aggiornamento professionale (art. 5), l* psicolog* segue attentamente il dibattito in corso riguardante la patologizzazione dei “disordini dell’identità di genere”, comunica al paziente la propria posizione e discute apertamente con questi delle possibili conseguenze in terapia. (E.1 e G.12)

3) Uso del linguaggio

L* psicolog* comprende l’importanza dell’uso di un linguaggio appropriato, in particolare nell’utilizzo di nomi e pronomi personali, aggettivi e participi, e nella denominazione di parti del corpo, anche in considerazione della posizione di potere che ricopre nei confronti dell’utente (art. 3 codice deontologico).

L* psicolog* è consapevole che il linguaggio all’interno della comunità transgender è in continua evoluzione e varia da individuo a individuo; l* psicolog* rispetta le definizioni di genere che i pazienti danno di se stessi e delle parti del proprio corpo; anche nel riferirsi a terzi, l* psicolog* cerca di usare un linguaggio che non dà per scontata la coerenza dell’identità di genere assegnata alla nascita con l’autopercezione e con la presentazione di genere del soggetto.

4) Conoscere e riconoscere il ruolo di sessismo, eterosessismo, trans- e omofobia

Capire come l’intersezione di sessismo, eterosessismo e transfobia influenza la vita de* utenti. … (ispirato a linea guida canadese B6, che andrebbe tradotta però in modo più chiaro)

5) Razzismo, omonazionalismo, richiedenti asilo…

NB non sappiamo come formularlo in linee guida, ci sembra un punto su cui bisognerebbe riflettere e discutere molto, soprattutto coinvolgendo persone trans migranti e richiedenti asilo. Quelli che seguono sono spunti assolutamente provvisori:

– tenere presente che molt* richiedenti asilo argomentano la loro richiesta di protezione internazionale di fronte alle Commissioni territoriali competenti in ragione delle persecuzioni subite nel loro paese in quanto omosessuali/transessuali.

– Consapevolezza del fatto che l’omosessualità, il transgenderismo (così come l’eterosessualità e il cisgendersimo, comunque) si possono esprimere in modi diversi in diverse culture, ma che queste espressioni culturali non hanno lo stesso grado di legittimità, non hanno le stesse chance di essere giudicate “credibili” da una Commissione territoriale rispetto a quelle tipiche della nostra cultura.

– Consapevolezza della ulteriore posizione di potere dell* psicolog* e dell’impatto di tutto ciò sulla relazione terapeutica

6) Consenso informato / limiti istituzionali nella relazione terapeutica

In coerenza con l’art. 4 e 24 del codice deontologico, quando opera all’interno di un Programma di adeguamento nel disturbo dell’identità di genere, l* psicolog* informa l’utente dei vincoli che orientano la sua pratica clinica in quel contesto in ragione del protocollo adottato e dal quadro legislativo delineato dalla legge 164/1982 e ne discute con questi le conseguenze in terapia.

Articoli del codice deontologico degli psicologi citati:

Articolo 3

Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace. Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell’esercizioprofessionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto

deve prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza, enon utilizza indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli utenti destinatari della sua prestazione professionale.

Lo psicologo è responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze.

Articolo 4

Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità e d i vincoli cui è professionalmente tenuto.

In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso.

 

Articolo 5

Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale, con particolare riguardo ai settori nei quali opera. La violazione dell’obbligo di formazione continua, determina un illecito disciplinare che è sanzionato sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento professionale. Riconosce i limiti della propria competenza e usa, pertanto solo strumenti teorico – pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti e riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate

Articolo 24

Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza.

Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.

Linee guida di altri paesi: http://www.mit-italia.it/linee-guid/

Osservatorio sulla salute transgender: http://www.mit-italia.it/osservatorio/

Codice deontologico degli psicologi italiani: http://www.psy.it/codice-deontologico-degli-psicologi-italiani

Cos’è la consultoria queer

Il progetto della Consultoria queer è nato dal bisogno di partire dalla materialità delle nostre vite queer e di provare ad affrontare da questa prospettiva il progressivo smantellamento del welfare pubblico universalista, la generalizzazione della precarietà, la crescente necessità di un reddito sganciato dal lavoro e quindi la necessità di creare reti di attivismo che siano in grado di farsi carico dei nostri bisogni nella crisi.
Non vogliamo che le nostre reti rispondano a una logica di emergenza o di sussidiarità, ovvero che si limitino a “tappare i buchi” del welfare statuale consentendoci, e consentendogli, di tirare a campare; al contrario, vogliamo orientare il nostro agire politico verso la costruzione di relazioni mutualistiche nella lotta e nella resistenza, per reinventare e costruire insieme nuove “istituzioni”.
Il nostro primo riferimento sono “naturalmente” le esperienze di lotta biopolitica espresse sia da Act-up sia dal movimento femminista degli anni Settanta.
In questo senso, oggi ci sembra urgente riattivare, ripensare e produrre discorsi e pratiche sulla salute e la sessualità che ci aiutino a uscire dalla trappola della medicalizzazione; che parlino di salute intesa come benessere sociale e non solo come gestione del normale e del patologico; che siano “contra-sessuali”, ovvero che mettano al centro i corpi e i piaceri, contro il disciplinamento e l’incasellamento dei desideri e delle sessualità.
Ci teniamo a chiarire immediatamente che il nostro desiderio non è quello di aprire un nuovo sportello o un nuovo ambulatorio, ma che piuttosto sentiamo il bisogno di creare uno spazio politico che abbia alcune caratteristiche fondamentali.
Il progetto di una consultoria autogestita per donne, lesbiche, trans, queer, inters*x, infatti, è il progetto di una “stanza tutta per noi” ma anche, contemporaneamente, di uno spazio aperto che metta al centro la “buona vita” intesa come libera espressione di sé, della propria  identità, attraverso una sessualità consapevole: un luogo che promuova l’incontro, l’autodeterminazione e l’autorganizzazione tra soggettività incarnate, dove non esistono utenti ed erogatori di “servizi”, ma soggettività autonome e desideranti.
Dunque, in quale senso la consultoria sarà queer? Innanzitutto, perché pur riconoscendo la singolarità di ognuno e ognuna, e dunque prevedendo anche la possibilità di creare momenti e spazi separati per la condivisione di esperienze specifiche, cercherà principalmente di lavorare alla tessitura di un confronto collettivo fra le differenti esperienze, a partire dalla consapevolezza che lo spezzettamento in “identità” è esso stesso parte dei processi neoliberali di disciplinamento, normalizzazione e controllo delle sessualità.