A due mesi dalla scomparsa di Seth, ripubblichiamo un pezzo di dieci anni fa, frutto di uno dei primi laboratori della Consultoria Queer di Atlantide, al quale Seth Sangiorgi ha dato un importantissimo contribuito.
By Consultoria Queer Bologna, in DWF (103-104) TUTTA SALUTE! Resistenze (trans)femministe e queer, 2014, 3-4
Nel corso di assemblee succedutesi nell’arco di un anno la Consultoria Queer di Bologna ha enucleato alcuni temi specifici su cui lavorare a partire dalle esperienze e dagli interessi de* partecipanti, e uno di questi è stato quello degli ormoni sessuali. Nel ciclo di incontri dedicato a questo tema abbiamo approfondito i diversi approcci alle modificazioni corporee che gli ormoni producono e i rapporti tra queste modificazioni e le percezioni di sé, prendendo in considerazione casi che vanno dalla transizione alla contraccezione farmacologica alla medicalizzazione della menopausa.
Negli incontri abbiamo discusso, ciascuno/a a partire dalla propria esperienza di corpo sessuato e dai saperi a propria disposizione, dei significati e degli usi sociali degli ormoni sessuali, sia “biologici” (endogeni) che di sintesi (cioè assunti sotto forma di farmaci), e di cosa possiamo fare per agire su tutto ciò a vantaggio della nostra autodeterminazione.
La trasversalità e la molteplicità dei posizionamenti delle soggettività coinvolte nella consultoria (non solo rispetto al genere e alla sessualità, ma anche rispetto al ruolo “sociale” di medico, piuttosto che di studiosa, di utente, ecc…) è fondamentale, perché rappresenta il tentativo di superare la separazione e la frammentazione delle identità e dei ruoli che sono il risultato delle gerarchie prodotte dall’egemonia del discorso biomedico e dall’eterosessualità obbligatoria.
Ognun* può parlare di ormoni sessuali facendo riferimento al proprio vissuto personale, essendo questi una componente biochimica presente in ogni corpo umano a prescindere dall’aver assunto o meno farmaci a base di ormoni sessuali nel corso della propria vita. La “scoperta” di questa trasversalità ci ha incoraggiato ad intervenire creando un’atmosfera di densa condivisione di esperienze.
Abbiamo iniziato sfatando la credenza che esistano ormoni “femminili” e ormoni “maschili”. Infatti anche i corpi “femminili” producono testosterone e anche i corpi “maschili” producono estrogeni, sebbene in differenti quantità. Inoltre, i farmaci ormonali che permettono ai trans e alle trans di trasformare i propri corpi sono gli stessi che assumomo le persone cisgenere[1] per i più svariati motivi (evitare gravidanze, ridurre gli effetti della cosiddetta “sindrome mestruale”, “curare” l’acne, il calo o l’eccesso di desiderio sessuale, ecc.). Siamo unit* dalle stesse molecole. Tuttavia, mentre estrogeni e progesterone sotto forma di pillola contraccettiva sono le molecole più vendute della storia della medicina, l’accesso e il consumo di prodotti a base di testosterone da parte di coloro ai quali è stato assegnato alla nascita un genere femminile[2] è, volendo rimanere nel mercato legale dei farmaci, molto più difficoltoso.
In questo articolo ripercorriamo solo uno dei fili del nostro ragionamento sugli ormoni, quello sui significati e sugli usi sociali del testosterone, sia perché ci sembra adatto a illustrare il lavoro di un gruppo composto da soggettività con diversi posizionamenti (cisgender, trans, persone che si identificano come donne, uomini o nessuno dei due; gay, lesbiche, donne eterosessuali; utenti, operatrici, studenti e studiose dentro/contro il sistema sociosanitario), sia perché ci sembra che abbia condotto a delle riflessioni interessanti rispetto al piano più generale degli usi delle tecnologie in rapporto al corpo e alla costruzione dei generi.
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Il metodo di lavoro principale, negli incontri della Consultoria, è quello dell’autonarrazione. Narrazione delle nostre esperienze, ma anche, dopo qualche tempo, narrazione delle emozioni e delle reazioni che il racconto dell’esperienza altrui ha avuto su di noi. Dopo aver sentito un ragazzo trans che ti parla degli effetti del testosterone, è difficile per qualunque assegnata-femmina non pensare almeno per un momento “lo voglio anch’io!”. O almeno, è quello che è accaduto ad alcune di noi. Abbiamo quindi capito quasi subito che la questione della maggiore desiderabilità sociale degli effetti del testosterone rispetto a quelli degli ormoni presunti “femminili” non poteva essere elusa.
I “doni” del testosterone sintetico, confidenzialmente detto T., sembrano essere maggiore energia, resistenza alla fatica, lucidità, immediatezza del desiderio sessuale, facilità nel raggiungimento dell’orgasmo e cura dell’ansia: è quanto riportano sia i nostri compagni trans, sia la filosofa (ora filosofo) queer Beatriz (ora Paul B.) Preciado, che per otto mesi ha assunto cento milligrammi di testosterone alla settimana, raccontando la sua esperienza in un libro, Testo Yonqui, che abbiamo letto nella versione spagnola, traducendone alcune parti. La dose di testosterone da lei assunta, scrive Preciado, «non è sufficiente per produrre in un corpo di bio-donna dei cambiamenti esteriori riconoscibili nei termini di quello che la medicina chiama “virilizzazione” (barba, baffi, massa muscolare, cambio della voce)» e tuttavia produce «dei cambiamenti sottili ma determinanti dei miei affetti, nella percezione interna del mio corpo, nell’eccitazione sessuale, nel mio odore corporeo, nella resistenza alla stanchezza» (Preciado 2008, p. 109). Lo scopo di questo «protocollo di intossicazione volontaria» (Preciado 2008, p. 15) non è ‘diventare uomo’ ma «fare del proprio corpo una piattaforma sessuale e affettiva né maschile né femminile» (Preciado 2008, p. 51).
Nonostante ciò, nel racconto autobiografico della propria sperimentazione, Preciado dà voce spudoratamente al proprio desiderio di T., all’eccitazione di trasgredire i confini imposti dal binarismo di genere, non risparmiando ironia verso il tabù posto da un certo femminismo su ogni tipo di desiderio di maschilità da parte delle donne.
E’ per questo che P., uno degli uomini trans che partecipano alla consultoria, sa di doverlo dire sottovoce e con molte cautele e distinguo: certamente, essendo trans, molto del benessere che ha sperimentato assumendo T. è conseguenza del fatto che sta finalmente trasformando il suo corpo, avviciandolo alla sua immagine di sé; ma il miglioramento del suo stato psicofisico è talmente evidente che ci deve essere anche qualcosa di “oggettivo”, un “effetto doping” che ha a che fare con gli effetti diretti della sostanza sul corpo. Dobbiamo concludere che i corpi che producono naturalmente maggiori quantità di testosterone sono stati avvantaggiati dalla natura? Ci concediamo di indugiare su questa domanda: d’altronde chi ha un corpo naturalmente predisposto alla carenza di vitamine le assume attraverso i farmaci, ma ciò non fa sì che si crei una gerarchia tra i corpi che ne producono in misura sufficiente e quelli che hanno bisogno di integrarle dall’esterno.
Per districare questa questione, una compagna ci segnala il lavoro dell’antropologa femminista Emily Martin, che ha affrontato un problema simile a proposito del ciclo mestruale: le mestruazioni sono necessariamente “oggettivamente” un disagio? La maggioranza delle donne coinvolte nella sua ricerca riferisce di sperimentare disagi psico-fisici di vario tipo durante il flusso mestruale; ma c’è anche un numero ridotto di donne che invece dice di sperimentare uno stato di maggior benessere. Martin nota che queste sono proprio quelle che fanno lavori creativi e che non richiedono troppa disciplina, e ne trae la conclusione che in fondo nessuno stato psicofisico è negativo o positivo in se stesso, ma lo è solo in relazione ai compiti che richiediamo in quel momento al nostro corpo (Martin 1987).
La società capitalistica contemporanea è un ambiente evidentemente più confortevole per i corpi che sono in grado di sostenere un certo tipo di stress psicofisico, di reggere la stanchezza e l’ansia, di mantenere costante la capacità performativa in ambito lavorativo. Un ambiente di questo tipo probabilmente privilegia i corpi con più testosterone, o forse i corpi con un livello ormonale più costante (come gli assegnati-maschi o gli uomini trans) rispetto a quelli con un andamento cicliclo (come le assegnate-donne alla nascita che non prendono la pillola). Il privilegio maschile, in questo senso, consiste in un senso di agio e di efficenza/efficacia del proprio corpo rispetto all’ambiente e ai compiti che deve svolgere, prima ancora che nel successo sociale che ne deriva. Il fatto che il testosterone sembri più desiderabile degli estrogeni e del progesterone, quindi, ci parla degli effetti di queste molecole sui corpi, di come i nostri desideri sono influenzati dalla cultura, ma anche di quali prestazioni sono richieste ai nostri corpi e del diverso valore sociale che è attribuito ad esse. Quindi gli effetti biochimici e gli effetti socioculturali del testosterone (come di qualunque altra sostanza) sono inseparabili. Qualsiasi effetto è allo stesso tempo chimico e sociale, o semio-tecnico (Haraway 1991). Non a caso Preciado, pur essendo evidentemente una grande fan del Testosterone come droga sintetica, in alcune pagine di Testo Yonqui parla degli effetti e delle emozioni del drag king quasi negli stessi termini in cui altrove parla del suo consumo di testosterone, e in effetti alcune (solo alcune) sensazioni che lei imputa all’effetto T sembrano simili a quelle che molte di noi hanno provato durante il laboratorio di drag king organizzato dal Laboratorio Smaschieramenti[3]. Se il testosterone aumenta il desiderio sessuale, questo aumento di desiderio dovuto a cause fisiologiche o biochimiche è assolutamente inscindibile dall’ascolto e dai significati che diamo alla nostra voglia ‘fisica’ di scopare: se la sentiamo come troppa o come troppo poca, come legittimata ad assumere un ruolo dominante nella nostra vita emotiva o no, come qualcosa da ignorare o da coltivare, come qualcosa che ci costituisce o come un accessorio, come qualcosa di cui andare orgogliosi o verso cui essere indifferenti o di cui addirittura vergognarsi. Tutte cose che, come è noto, hanno molto a che fare con il fatto di avere un corpo assegnato al genere femminile o al genere maschile[4].
Lo sforzo di capire l’effetto T ci spinge a superare il binarismo che oppone le scienze dure alle «interpretazioni» delle scienze sociali per arrivare a pensare alla natura e alla cultura come sistemi comunicanti che si alimentano a vicenda. Non vogliamo pensare la materialità come un’entità passiva che attende che qualcuno sveli la sua reale e oggettiva natura (si pensi alle cosiddette “scoperte” scientifiche), intendiamo bensì vederla nella sua dimensione attiva e trasformativa. Desiderare pelle diafana e seni grandi, ingerire la pillola, sviluppare una certa manualità e integrazione percettivo-motoria attraverso l’uso del mouse o dell’i-pad o attraverso la guida di automobili, camminare in un certo modo per via dell’apprendimento, dell’abbigliamento e dell’ambiente fisico nel quale siamo abituat* a muoverci, afferrare gli oggetti in un certo modo, scopare in un certo modo, sono tutte cose che fanno il nostro corpo. Sono tecniche e tecnologie del corpo[5] che apprendiamo e che dipendono dai sistemi culturali in cui cresciamo, ma che finiscono per diventare corpo e che tendiamo a immaginare come dipendenti da una verità biologica pre-esistente. Sono effetti certamente percepibili fisicamente e presenti in tutta la loro materialità, ma comunque mediati dal nostro sguardo e dalle norme sociali e culturali (che comprendono tanto i valori che ci vengono inculcati, quanto i modi in cui sono costruite le case, le immagini che vengono consumate, il cibo che si mangia, le tecnologie che si usano nella vita quotidiana… o le cose che ci vengono concesse o proibite in quanto assegnate donne, o uomini).
Le assegnate-donne coinvolte nella Consultoria si sono così interrogate sul proprio desiderio o non-desiderio di T. Per alcune, la parte più affascinante riguarda il desiderio sessuale. Ci siamo sempre sentite dire che il desiderio maschile è più “fisico” di quello femminile (che invece sarebbe più “mentale” o “emotivo”), con il sottinteso più o meno implicito che per questo motivo gli uomini hanno più bisogno o più diritto di fare sesso. Abbiamo lottato contro questa idea, ci siamo conquistate il diritto di godere, di fare sesso occasionale quando ne avevamo voglia e di rifiutare rapporti sessuali alle/i nostre/i compagne/i quando non ne avevamo voglia. Ma ci rendiamo conto che abbiamo ancora molto lavoro da fare per legittimare pienamente la nostra sessualità.
Per altre, invece, non è tanto la questione sessuale quanto quella dell’efficienza psico-fisica a rendere attraente l’effetto T. Alcune infatti investono il testosterone del desiderio di avere condizioni psicofisiche più favorevoli per affrontare ritmi di vita impegnativi.
Tra noi ci sono anche quelle a cui è stata diagnosticata un’eccessiva concentrazione di testosterone nel sangue, che è stata “curata” con la pillola contraccettiva o altri farmaci a base di ormoni. Ci informiamo da un’ostetrica, R., che ci spiega che un’eccessiva produzione di testosterone – o meglio, una produzione troppo superiore alla media – in un corpo assegnato femmina di solito ha come conseguenza una minore probabilità di ovulare e quindi una minore fertilità. In alcuni casi, ciò si accompagna anche a una maggiore crescita di peli superflui e alla comparsa o all’accentuazione di brufoli e acne. La pillola contraccettiva interrompe l’attività ormonale delle ovaie, compresa, quindi, la produzione di testosterone: per questo può “correggere” quelli che vengono identificati come difetti estetici, e di fatto viene sempre più spesso utilizzata per questo scopo, come testimoniano le strategie di marketing impiegate negli ultimi anni e l’esperienza di molte donne di nostra conoscenza. Per quanto riguarda invece la questione della fertilità, molti medici ritengono che, dopo aver preso la pillola per un certo periodo di tempo, quando poi ne si interrompe l’assunzione, i cicli di produzione ormonale endogeni dovrebbero riprendere in modo più regolare e risultare “riequilibrati”, rendendo più probabile il concepimento. In realtà R. ci riferisce che, nella sua esperienza clinica, questo accade molto di rado e anche che talvolta lo “squilibrio” ormonale addirittura si accentua.
Eppure, molte nostre compagne cui è stato “curato” l’eccesso di testosterone non avevano sintomi estetici tali da creare disagio, né erano interessate a “riequilibrare” i loro livelli ormonali per aumentare la probabilità di rimanere incinte. Nessuno tuttavia ha chiesto il loro parere e l’assunzione della pillola è stata presentata loro come una necessità medica non meglio giustificata. Questo è uno dei molti casi in cui l’interazione tra medico e paziente si rivela essere un rapporto gerarchico, in cui il medico si fa esecutore di un regime politico eteronormativo e patologizza uno stato fisico non conforme alla norma eterosessuale.
Per assumere un maggiore controllo su queste tecnologie che incarnano ambiguamente sia l’oppressione sia la lotta per l’emancipazione (come la pillola contraccettiva) è indispensabile costruire collettivamente un immaginario alternativo dei corpi che non sia basato sul binarismo di genere e su una identità sessuale fissa e determinata biologicamente e che dia legittimità a incarnazioni fluide e molteplici della maschilità e della femminilità.
La critica consapevole della medicalizzazione obbligatoria non è per forza sinonimo di rifiuto e demonizzazione delle tecnologie biomediche e dei servizi sanitari, ma è di sicuro uno strumento che ci permette di acquistare agency nel rapporto medico-paziente, sia a livello personale sia a livello collettivo, proponendoci come soggetti attivi nella produzione dei discorsi sulla salute intesa come benessere. Ad esempio, le informazioni che abbiamo acquisito e il lavoro che abbiamo fatto per smontare, in qualche modo, l’incubo della virilizzazione del corpo femminile ci permettono di avere più chance di rifiutare, se vogliamo e se lo riteniamo opportuno nel nostro personale bilancio di costi e benefici[6], la prescrizione della pillola a scopo estetico, e di appropriarci criticamente delle tecnologie con cui vengono vigilati i nostri corpi al di fuori del binarismo “normale” vs. “patologico”.
Discutendo delle nostre rispettive esperienze durante le assemblee della consultoria, ci accorgiamo anche che mentre la pillola anticoncezionale a base di estrogeni e progesterone viene prescritta con facilità, l’accesso al testosterone è estremamente sorvegliato per i corpi assegnati alla nascita al genere femminile. In generale, il grado di difficoltà nel reperire farmaci a base di ormoni dipende dal genere di assegnazione di chi li sta chiedendo: le persone assegnate-uomo che richiedono farmaci a base di testosterone per presunte carenze o disfunzioni “fisiologiche” possono accedervi facilmente, in genere con una semplice ricetta del medico di base, così come le assegnate-donna che richiedono la prescrizione di estrogeni e progesterone[7]. Quando tuttavia è una persona che è stata assegnata-donna chiede la somministrazione di testosterone, o un assegnato-uomo a richiedere la somministrazione di estrogeni, l’accesso è soggetto a molte più restrizioni.
L’uso di testosterone sintetico per aumentare la libido nelle donne, per quanto si presenti come un business promettente, ha incontrato diverse resistenze da parte dell’agenzia del farmaco statunitense; nel nostro paese, è stato approvato solo di recente ed è subordinato a una serie di visite specialistiche preliminari[8].
All’interno del percorso di transizione per la riassegnazione del sesso, l’assunzione di ormoni sessuali è regolata dalla necessità di una diagnosi di “disforia di genere” certificata da uno psicolog* o da un* psichiatra, e di una prescrizione medica firmata da un* specialista endocrinolog* (non dal medico di base). Da un lato, questa regolamentazione è uno strumento che garantisce il diritto delle persone trans ad accedere al servizio sanitario pubblico, conquistato peraltro grazie alle lotte delle stesse persone trans negli anni ’70 e ’80. Dall’altro, è anche vero che è molto difficile capire dove finisce la tutela del diritto alla salute e dove inizia la “messa sotto tutela”, il disciplinamento e il controllo di esperienze che, se non relegate all’eccezionalità della malattia e se non incanalate in un certo tipo di percorso “da qui a lì” (da un sesso all’altro sesso), rischiano di mettere in questione l’esistenza stessa dei sessi e con essa il fondamento dell’organizzazione eteronormativa e misogina della società[9].
Del resto, la creazione di un immaginario alternativo non può passare unicamente dall’accesso ad una molecola: ci rifiutiamo di pensare che le nostre possibilità di sabotare/hackerare i generi debbano dipendere dalle condizioni del mercato legale o illegale delle sostanze farmaceutiche. Per costruire una critica radicale e non cadere in un essenzialismo chimico che fa del testosterone sintetico lo strumento principale della lotta al binarismo di genere[10] è fondamentale capire quali sono le nostre aspettative e i nostri immaginari e cosa li crea, prendere consapevolezza di ciò che è già a nostra disposizione, delle potenzialità dei nostri corpi, che spesso superano le nostre stesse aspettative, e lavorare sulle tecnologie del corpo e sull’auto-legittimazione del nostro desiderio.
Ciò non significa negare il valore (emotivo, sociale, politico) che l’assunzione degli ormoni sintetici può avere e di fatto ha: il percorso della terapia ormonale rappresenta per molte/i una conquista. Tuttavia, analizzando criticamente i modelli a cui ci rifacciamo e ampliando il nostro immaginario attraverso la condivisione delle esperienze e la creazione di scenari alternativi, siamo in grado di rendere esplicitamente politico ciò che viene sistematicamente relegato all’ambito del privato. Il lavoro sulla legittimazione del nostro desiderio – desiderio sessuale, desiderio di maschilità, desiderio di appropriarsi di una o più pratiche e modalità corporee convenzionalmente riservate ai “nati maschi” – acquista un’importanza ancor maggiore se viene concepito come un atto collettivo, e le potenzialità dei nostri corpi ne risultano ulteriormente accresciute.
In effetti, anche se a volte riusciamo a riconoscere una determinata sostanza (T., pillola, SSRI[11], etc) nella sua dimensione eterogenea, semio-tecnica o material-semiotica, performativa e socialmente costruita o di attore non-umano, quasi sempre poi l’assunzione della sostanza, il suo desiderio\rifiuto e i suoi effetti, tendono a ricadere sull’individuo, soprattutto per quanto riguarda le sostanze farmacologiche[12]. In questo senso abbiamo voluto assumere pienamente la dimensione socio-culturale delle sostanze che abbiamo discusso, ossia la loro esistenza in una rete di relazioni: tra generi, classi, tra soggettività. E’ proprio la dimensione collettiva, quindi, ad essere in grado di potenziare queste azioni di sovversione e a dare un nuovo significato politico agli atti di terrorismo di genere.
Indicazioni bibliografiche
Baldo M., Borghi R., Fiorilli O. (2014), İl re nudo: per un archivio drag king in İtalia, Pisa, Edizioni ETS
De Lauretis T. (1987), Technologies of Gender: Essays on Theory, Film, and Fiction, Bloomington, Indiana University Press
Haraway D. (1991), A Cyborg Manifesto Science, Technology, and Socialist-Feminism in the Late Twentieth Century, in Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature, New York, Routledge, pp.149-181.
Martin E. (1987), The woman in the body: a cultural analysis of reproduction, Beacon Press
Mauss M. (1950), Les techniques du corps [1936], Sociologie et anthropologie, Paris, PUF, (trad. it. “Le tecniche del corpo, Teoria generale della magia e altri saggi, Torino, Einaudi, 1965)
Preciado B. (2008), Testo Yonqui, Barcelona, Espasa Libros
[1] İl prefisso cis deriva dal latino e significa “al di qua”. Con uomo “cisgenere” o “cisgender” o semplicemente “cis” si intende una persona che alla nascita è stata assegnata al genere maschile in base alle correnti convenzioni sociali e ha accettato come propria questa assegnazione, mentre con uomo “transgenere”, “transgender” o semplicemente “trans” si intende una persona che è stata assegnata-donna e che ha poi adottato un genere maschile (con o senza modificazioni tecnologiche del proprio corpo). Secondo la Trans-yciclopédie (Espineira, Thomas, Alessandrin 2013: 121) è stata Julia Serano ad introdurre nella letteratura accademica il concetto di cisgenere nel 2007. Baldo M., Borghi R., Fiorilli O. (2014), İl re nudo: per un archivio drag king in İtalia, Edizioni ETS, Pisa, p. 11, nota 15.
[2] Seguendo la scelta di Michela Baldo, Rachele Borghi e Olivia Fiorilli (2014) abbiamo scelto di usare l’espressione “persone assegnate-donne/uomini” e non “bio-donne/bio-uomini” perché « riteniamo che quest’ultima formula rimandi indirettamente ma inevitabilmente a un’idea di natura (se non addirittura di biologia) per noi altamente problematica. […]» L’assegnazione del “sesso” alla nascita e la produzione di corpi “maschili” e “femminili” sono sempre processi pienamente sociali, e non esiste «nessun automatismo tra ‘assegnazione’ del genere alla nascita ed espressione del genere nella vita di un soggetto». İnfine, «la forma ‘persona assegnata donna/uomo’ ci permette di alludere alla varianza di genere espressa anche da soggetti che non si definiscono transgenere». (Baldo, Borghi, Fiorilli 2014, p. 12, nota 16).
[3] Collettivo transfemminista frocio nato da un’iniziativa di Antagonismogay e attivo a Bologna dal 2008, si riunisce nella storica sede di Atlantide, in Porta Santo Stefano. Http://smaschieramenti.noblogs.org
[4] Gli ormoni esistono “fisicamente” e i loro effetti sono “fisici”, ma questa fisicità, come ogni altra fisicità, è sempre mediata dalla cultura. Infatti spesso si dice che il testosterone rende aggressivi, e in particolare sessualmente aggressivi (l’Androcur che prendono le trans MtF è, ad esempio, un anti-androgeno usato anche per “sedare” uomini con un eccessivo desiderio sessuale) ma pare che chi non è stato educato a una cultura dell’aggressività sessuale o non sente su di sé un’aspettativa in questo senso non abbia questo tipo di “effetto” quando assume T. Questo non significa che questo effetto, quando si verifica, sia “finto”, falso o ideologico: tutti i possibili effetti di T., come di qualunque altra sostanza o processo fisiologico, sono il risultato dell’interazione fra processi biochimici e soggettività. Non esistono effetti “oggettivi” o “puri”.
[5] Mauss M. (1950), “Les techniques du corps” [1936], Sociologie et anthropologie, Paris, PUF, (trad. it. “Le tecniche del corpo, Teoria generale della magia e altri saggi, Torino, Einaudi, 1965). De Lauretis T. (1987), Technologies of Gender: Essays on Theory, Film, and Fiction, Indiana University Press, Bloomington.
[6] L’assunzione della pillola contraccettiva aumenta significativamente il rischio di trombosi e ictus e ha spesso effetti negativi sull’umore. Solo la persona interessata può valutare se il proprio disagio per acne e peli superflui giustifichi l’assunzione di questi rischi: non intendiamo stigmatizzare chi prende la pillola per questi motivi, ma contestiamo la pratica diffusa del “consenso disinformato” o dato-per-scontato da parte dei medici, e l’immaginario estetico dominante che non prevede nemmeno la possibilità che una persona assegnata-donna possa gradire o comunque non odiare i propri peli superflui.
[7] La situazione, tuttavia, non è totalmente simmetrica, perché mentre fa parte del senso comune il fatto che un’assegnata-donna possa assumere farmaci a base di ormoni “femminili” per i più svariati motivi (contraccezione, acne, irsutismo, disagi legati alle mestruazioni o alla menopausa, terapie dell’infertilità), l’uso di testosterone sintetico da parte degli assegnati-uomini è ancora avvolto da un alone di segreto. La visibilità sociale dell’uno e dell’altro tipo di ormoni sintetici non è nemmeno paragonabile.
[8] Come abbiamo già spiegato, questa associazione meccanica fra testosterone e desiderio sessuale ci sembra molto problematica.
[9] L’erogazione di queste prestazioni mediche è organizzata in modi diversi a seconda delle aziende sanitarie regionali e dei protocolli (ONIG o WPATH) adottati dalle singole strutture. Si ricorda che la legge italiana richiede una sentenza di un tribunale ordinario per autorizzare gli interventi chirurgici, e un’ulteriore sentenza in cui il giudice, constatati i cambiamenti fisici avvenuti, decreta la riassegnazione del sesso anagrafico. Sebbene la legge sia vaga sul tipo di cambiamenti richiesti, la prassi indiscussa è quella per cui senza l’asportazione chirurgica di utero, ovaie e seno o dei testicoli non si può ottenere il cambio di sesso anagrafico. Questa pratica giurisprudenziale ha inevitabilmente degli effetti anche sulla cultura medica de* professionist* che si occupano della transizione e su quella delle stesse persone trans, avvalorando l’idea che l’esperienza trans sia necessariamente un percorso da un corpo “sbagliato” a un corpo totalmente coerente con il genere scelto in base ai canoni normativi di maschilità e femminilità. Istanze diverse non sono istituzionalmente previste e l’accoglienza che viene loro riservata nelle strutture è affidata alla sensibilità de* singol* operatori e operatrici sanitar*.
[10] Ci sembra questo il rischio di una prima lettura entusiasta di Testo Yonqui. Del resto, è come se Preciado abbia materializzato il testosterone in forma di libro, come se fosse riuscit* a far sì che gli effetti della lettura mimassero quelli della sostanza: concordiamo con Virginie Despentes quando dice che dopo aver letto questo libro «hai voglia di uscire in strada, di fare cose strane». Proprio a partire da questa considerazione si è consolidata la nostra consapevolezza che il corpo è il risultato dell’intersezione di molteplici discorsività che si fanno materia.
[11] Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, farmaci antidepressivi.
[12] Già diverso il discorso sulle sostanze “ad uso ricreativo”, la cui somministrazione è più spesso legata a contesti collettivi di socialità.